Papà ci teneva, tu eri eccitatissima.
Correvi di qua e di la per casa, ridendo “andiamo!”. In realtà, questa mattina (mentre come di consueto la domenica cercavo di lasciare dormire papà) avevo iniziato l’opera di convincimento: a volte non è facile farti uscire, e oggi preferivi la quiete della tua casetta. E volevi a tutti i costi il vestitino: tempo di convincerti ai pantaloni, ero molto provata.
In questi giorni mi affatico molto, tropo facilmente. Passo a letto le ore, con gratitudine.
Ieri pomeriggio avete dormito nel lettone con me, stringendomi a sandwich – uno da una parte una dall’altra. Quanto spesso sono rimasta immobile per non disturbarvi, godendo la pace dei vostri respiri – illudendomi sempre di essere la fonte di quella pace.
In questi giorni invece mi sto angustiando: nei dolori e nella debolezza, sento la vita sfuggirmi via. E mi sembra di vederlo nei vostri occhi: gli occhi di papà preoccupati e tristi; e gli stessi tuoi occhi, estremamente sorridenti ed affettuosi. Sono proprio felice che questa sia la tua reazione ad una mamma sofferente: evidentemente nel mio tempo con te sono riuscita a passarti che anziché l’ansia, cura il sorriso.
Quante volte, ai tuoi incubi notturni, ai tuoi pianti ti ho calmato solo con una ferma carezza, dicendoti “la mamma è qui con te”. Sai, sono quasi le prime parole che ti ho detto in ospedale: “è tutto a posto, la mamma è arrivata”. E da allora, questo è stato il mio ruolo. E che bello vedere il tuo abbandono, il tuo calmarti con la mamma! (non che sia miracoloso, a volte avviene dopo ore di capricci….)
E ora, invece, sarò io ad abbandonarti….
Non voglio, non è giusto. Il tuo sorriso è troppo bello.
Piango, e non voglio che mi vediate piangere; già vi comunico troppa angoscia.
Ieri siamo andati al Carrefour, con pranzo da McDonald’s. Fortuna che non lo facciamo quasi mai: papà era insofferente, a me è costato molta fatica; tu eri al settimo cielo con il tuo carrellino con la bandierina, e hai dichiarato che è stata una splendida giornata.
Evidentemente devo prendere nota di queste giornate “banali”, perché se ti danno gioia ne danno anche a me, e mi giustificano la fatica, mi dicono che ne vale la pena. Anche vivere così poco appieno, con l’idea che ogni cosa/volta può essere l’ultima.
Giovedì avete avuto la festa dell’asilo. In questi giorni canti a squarciagola “ciao amico, ciao ciao ciao” e le canzoni con cui vi siete congedati dai vostri compagni più grandi, “remigini”. Chissà se arriverà alla tua festa di remigina: manca un anno intero, e quanto ci terrei! Ma non così, non a letto.
Alla festa mi tenevi stretta per mano, stretta stretta come orgogliosa della tua mamma. Quanto vorrei essere li a tenerti la mano nei momenti importanti e non.
Mi dispiace la tristezza di queste righe, ma a volte è dura.
Sono arrivata a chiedermi se ne vale la pena. Tutto sommato, nell’ultimo mese ti ho scritto (tanto), come volevo fare. Ti ho letto tante storie che ti sono piaciute: le commentiamo ridendo ed imparando. Sei arguta, fai osservazioni sagge, che mi invogliano ulteriormente a chiacchierare con te della vita e dei suoi trucchi, di “grulli” e di principesse.
Non basterà mai.